Jean Louis Espilit / SYNESTHESIE / 7 novembre 2013
Due reazioni sensoriali distinte ma conviventi: la percezione della fragilità, delicatezza e preziosità delle carte utilizzate, provenienti dall'Oriente, dal Nepal o dal Bhutan, e l'evocazione di uno stato interiore di meditazione, forza antica e potente.
Opere astratte o meglio non figurative: non rappresentazione, ma riflessione. In un sobrio e quasi rituale abbraccio, il perfetto e l'imperfetto.
Carte particolari, non più supporto, ma sovrapposte, colorate con colori di terra e della terra, graffiate da tratti di matita, inchiostri, carboncino, poi applicate su tela, in equilibrio rigoroso e sottile armonia.
Silenzioso dialogo tra testimoni della pulsante energia della Natura e molteplici stati d'animo in segreto raccoglimento. Essenzialità, cromie calde, decise o sfumate, percorso mentale nel tempo ed insieme “visione tattile”, che l' artista ci invita ad esplorare.
Come in una partitura musicale, una sapiente struttura che respira, attraverso dissonanze ed irregolarità della materia e lavoro paziente di grande raffinatezza.
S.G.